1. "Per tagliare la testa di Medusa senza lasciarsi pietrificare, Perseo si sostiene su ciò che vi è di più leggero, i venti e le nuvole; e spinge il suo sguardo su ciò che può rivelarglisi solo in una visione indiretta, in un'immagine catturata da uno specchio": così scrive Calvino, aprendo la sua lezione americana sul tema della Leggerezza. Quel che a noi preme cogliere in questa presentazione critica non è soltanto l'interpretazione che il grande scrittore da del mito greco, quanto la conclusione, che in vero si potrebbe accogliere e porre come sintesi stringata, in stile epigrafico, al vasto ciclo che Carlo Adelio Galimberti ha elaborato in questi ultimi due anni e si espone nella sua compiutezza in questa mostra: "Subito, prosegue Calvino, sento la tentazione di trovare in questo mito un'allegoria del rapporto del poeta col mondo, una lezione di metodo da seguire scrivendo". Appare intrigante (e convincente in una certa misura) seguire l'intuizione dello scrittore; perché ogni percorso culturale che riconduca a riflettere, anche se mediato dalla figura retorica dell'alle-goria, sulla relazione tra arte e mito offre più di un appiglio al lettore, per entrare in un mondo, ad un tempo affascinante e singolare, come quello del pittore milanese. Da diversi anni infatti Galimberti tende ad utilizzare il mito, come chiave interpretativa del mondo, come specchio e immagine rovesciata, come tema e supporto narrativo, per il processo conoscitivo. L'arte per il pittore milanese è forma di conoscenza, che ha in più il fascino dell'emozio-ne: ma conoscenza ed emozione si declinano e si uniscono in simbiosi attraverso una stretta correlazione, specialmente quando incontrano la seduzione antica del mito. Un tempo l'arte offriva all'immagine l'aura, per testimoniare e acclarare l'evento o l'icona; mutati i termini, l'aura offerta dall'arte non si rivolge più all'evento eroico e sublime, alle straordinarie avventure della psiche; l'aura riveste una figura che in una qualche misura trascrive il nostro procedere a tentoni nell'universo di segni che attraversano il nostro cammino, una rappresentazione che si erge, a volte, a emblema o simulacro, di un immaginario collettivo condizionato dai portati massmediali. La scelta poetica di Galimberti di dar vita agli antichi miti (Allegorìa dell'Occidente è il titolo della sua mostra del maggio 1992, e Mythos è quello di una sua mostra recente, 1999) appare dunque come uno sforzo per ridare voce al silenzio, o ridare senso all'insignificanza della quotidianità; tale scelta rientra in una riflessione di natura culturale, prima ancora che poetica: "dentro di noi vive il Mito", scrive, presentandone l'opera nel 1992, Gonzalo Alvarez Garcia "con la sua seduzione arcaica"; in forma più puntuale e specifica, in un testo di pochi anni fa di Giorgio Seveso, personale del 1999, il mito suona "come giudizio morale nei confronti del l'Occidente"; il mito è per il pittore milanese il "portato di una tensione etica", conoscitiva, cui la cultura degli uomini ha assegnato un valore. Del resto, mito "è una parola" avverte Roland Barthes ancora negli anni cinquanta, "scelta dalla storia; il mito non può sorgere dalla natura delle cose". Occorre chiedersi allora quale "parola" abbia voluto trarre Galimberti dal celebre mito ellenico di Perseo, quale significato abbia voluto trarre dai molti possibili, insiti nella vicenda del figlio di Danae e di Giove, uccisore della Gorgone Medusa, salvatore di Andromeda, dominatore del cavallo Pegaso, protetto da Atena che gli fornisce il lucentissimo scudo, per poter vedere Medusa solo di riflesso e non rimanerne pietrificato. Perché è chiaro che il pittore non vuole illustrare un libro di antiche leggende, ma vuole parlare di noi: "nessuna epoca" avverte Courbet nel 1861, "non può essere che riprodotta dai suoi propri artisti". Quali significati, quale il senso che da queste vicende si può trarre oggi? Cosa c'è dietro Perseo? Dietro Perseo c'è una storia di astuzie e magie, per cui Perseo anticipa Ulisse; dietro Perseo che libera Andromeda ci sono le mille storie successive della bella incatenata e del giovane che la salva strappandola dallo scoglio sul mare al mostro che vuole divorarla (è il primo "liberatore" di una lunga storia epico-fantastica; Perseo ci libera dalle paure?); dietro la vicenda del fondatore di Micene c'è la vittoria sulla morte nella sfida alla Gorgone; nella pioggia d'oro con cui Zeus feconda Danae per fare nascere Perseo ritroviamo la nascita dell'anno nuovo che si rinnova nell'incontro tra il Sole e la Luna: nel mito c'è awentura e conoscenza; il mito, come il linguaggio e l'arte, scrive Cassirer, "si presentano come veri fenomeni originari dello spirito".
2. Nella carrellata di immagini che raccontano il mito mediterraneo in forma rinnovata, Galimberti mescola sapientemente attualità e storia, immagini desunte dalla tradizione iconografica classica (ellenica), con altre tratte dall'univer-so quotidiano (e sovente utilizza la moda, le foto d'attuali-tà delle riviste patinate, come immagine "tipo" della contemporaneità). Accomuna nella medesima pagina, nella medesima opera, le due tipologie di forme narrative, tradizionale e moderna, creando un singolare contrasto, cui aggiunge, a volte, gli elementi mostruosi e demoniaci, pro-pri della storia, traendoli dall'universo rappresentativo della vasta tradizione pittorica europea. Galimberti non si ferma su un secolo, su una tradizione, su uno stile; Galimberti attinge alla storia. Diviene facile, per il lettore attento, cogliere i numerosi recuperi, intesi nel doppio ruolo di riflessione sulla storia e di omaggio alle pagine più inquietanti e intriganti (per un pittore) tra le mille che la storia dell'arte propone: non una suggestione "citazionista", ma il bisogno di pittura colta, a confermare Fattualità e la perennità di una vicenda, che attraverso la nuova classicità esibita rimane antica e diviene attuale. E' la condizione culturale di Galimberti da cui derivano i molteplici riferimenti, dai serpenti che sembrano uscire da cataloghi medievali che descrivono, tra verità e fantasia, gli animali mostruosi, all'elmo che guarda Rembrandt, e lascia che il giallo-oro si intrecci con i brividi della forma; dai cavalli e dalle maschere che hanno una paternità ampia e articolata nella tradizione classica, alla Gorgone dal volto urlante che diviene uno scontato (per un lombardo) omaggio a Michelangelo Merisi, fino a giungere al giovane, bronzeo Perseo, visto di spalle, un omaggio inevitabile a Cellini, nel suo ergersi diritto dinnanzi a noi, come se sorgesse in quel preciso istante dalla fusione (e realtà e storia dell'arte divengono un tutt'uno). La modernizzazione iconografica del mito di Perseo consente all'artista milanese riflessioni e parallelismi altrimenti difficili: a partire dal confronto, cui si è già fatto cenno, tra attualità e storia, tra conoscenza molteplice, allusiva e intuitiva, propria del mito, e necessità, per l'arte, di interpretare il mondo odierno. Così, per esempio, una Venere classica, parzialmente ricoperta da una tunica che le lascia scoperte le spalle e il busto, è affiancata alla giovane in blue-jeans con la linea della cintura tenuta bassa, come prescrive la moda d'oggi; in forma non dissimile, mentre le due giovani Gorgoni (Steno e Euriale) appaiono in abiti attuali, sedute e/o coricate come se ascoltassero una musica da un cd, Medusa appare con il volto terrificante della maschera tragica, improbabile schienale di un divano ligneo di gusto eclettico. Il rapporto antico-moderno rende più leggibile, attuale, il messaggio dell'artista; spesso sostituito dalla relazione, ineliminabile nella pittura colta di Galimberti, tra racconto e storia dell'arte, fino ad approdare ad una autonomia iconografica, che l'artista costruisce sui ritmi della complessità: pur recuperando l'antico, crea un'immagine che ha il profilo e i connotati della novità e potrebbe agevolmente collocarsi all'interno degli attuali linguaggi massmediali, sapientemente evitati in forma diretta dal pittore milanese. Se il rapporto antico-moderno colpisce immediatamente l'immaginazione, così come la colpisce l'attualizzazione di un'opera teatrale, diverso è il caso delle opere del pittore milanese quando nascono dalla volontà di parlare di storia attraverso la storia (dell'arte). Ripartiamo dalle indicate citazioni, alcune emblematiche, per il lettore, e chiarifica-trici di una poetica. Si prenda una tela come quella dedicata ad Andromeda e il mostro marino: la fanciulla dalla classicità ingresiana dialoga con il mostro marino dal vigore espressionista che sembra provenire dalle fantasie infantili di coraggio e paure; più in alto, quasi sinopia recuperata per caso da una dilavata parete, si staglia il profilo di Perseo, ardito cavaliere "cinquecentesco" che discende dal cielo su Andromeda e sul mostro cavalcando Pegaso. Cavallo e cavaliere divengono cielo, roccia, mare e assumono i colori e gli andamenti pittorici dei luoghi su cui si sovrappongono. Non dissimile il raffronto tra il giovane Perseo e il rè Polidette: mentre il rè banchetta con gli amici, l'Eroe gli mostra la testa che lo pietrifica. Nella trasformazione in macigno del rè, Galimberti sottolinea l'i-dentità dei due protagonisti, posti specularmene nel medesimo gesto, il primo a protezione (inutile) del volto, il secondo per esibire la sanguinante testa dal volto orribile che uccide: e nella posa, i due protagonisti esprimono un recupero della cultura barocca, al cui spazio articolato si volge il pittore per tradurre l'inquietudine dell'animo. Infine, la terza dimensione espressiva che emerge dalla Perseide appare quella in cui Galimberti sembra meglio distendere la sua tensione pittorica, dove la cultura è in una certa misura assorbita e la classicità ritrovata non vive sull'imitazione/raffronto, ma sulla struttura espressiva reinventata: si pensi ad opere come Danae (seduta su una sedia moderna ma immersa in un'aura classica e bagnata dalla pioggia d'oro da cui nascerà Perseo); si pensi ad una tela le Nereidi: pur nella persistenza di una memoria böckiiniana, le fanciulle sono raffigurate attraverso un'im-magine "di prelievo", una sorta di iconografia di bagnanti alla Vallotton; sono giovani fanciulle che scherzano nelle acque del mare azzurro. In queste opere, Galimberti sembra voler tradurre non solo il messaggio narrato (il mito di Perseo da cui siamo partiti), ma quello più profondo, ambiguo, suggestivo, che viene dalla pittura, dal piacere di accostare le forme, di utilizzarle, ad di là della vicenda narrata. Vuole Galimberti farci riflettere e narrarci una storia. Vuole soprattutto (per sé almeno) scrivere una pagina di pittura, che, nei contrasti delle cromie e della materia, negli sconfinamenti dai termini iconografici del narrato, sottolinea quell'inquietudine sottesa, che dell'intero ciclo galimbertiano costituisce il frutto più prezioso.
3. La "pittura colta", variamente definita all'interno dei termini poetici e stilistici di una rinnovata tradizione classica, o nella terminologia corrente di citazione (e di citazioni-smo si è parlato a lungo), si diffonde nella cultura europea (e non solo) nella seconda metà degli anni settanta. E' la stagione in cui appaiono imperanti, ma in declino, le poetiche dell'oggetto e del concettuale. Nel "ritorno alla pittura", che per ['ennesima volta il Novecento viene compiendo, la ricerca si suddivide in differenti filoni: da un lato si caratterizza negli ambiti e nelle forme di una pittura auto-referenziale (di matrice astratta); dall'altro lato attraverso un recupero del grido e della pittura espressionista; dall'altro in fine attraverso l'emersione di un bisogno evocativo di matrice classica. Galimberti coglie quest'ultimo percorso, cui giunge da una originaria adesione alla cultura figurativa (sia lecito l'aggettivo generico). Già alla fine degli anni ottanta, attraverso immagini come Il sogno, 1989, il pittore lombardo recupera la classicità e la collega con Fattualità: il sogno della fanciulla distesa è una sorta di moderno incubo fuseliano: la divinità eroica che compare alle spalle della fanciulla distesa è ad un tempo sogno e trasgressione, desiderio e viaggio della mente. In questo contesto di recupero del mondo classico, inevitabile il ricorso al mito, il bisogno di ridar voce all'intuizione, che salvi l'uomo contemporaneo dalla delusione della scienza, dalla banalità del quotidiano: è la scelta che Galimberti compie e insegue ormai da anni. Il ciclo dedicato a Perseo, la Perseide che andiamo dipanando nelle sue componenti essenziali, si propone come la prosecuzione del precedente ciclo dedicato ai miti (Mythos, 1999): al giro di boa del secolo, in una sorta di necessità di rinascita, il pittore muta stilisticamente i termini del proprio procedimento espressivo. Il richiamo alle possibili interpretazioni di Perseo, tra cui quello della nascita del-l'anno nuovo, uno dei significati possibili del mito di Perseo, può aver suggerito il ciclo. Si fa più prepotente il bisogno di pittura, la necessità di uscire dalle ideologie, che hanno animato tutto il Novecento: la pittura, come mestiere, con il suo linguaggio e le sue procedure, diviene l'estrema spiaggia. Tale bisogno, senza nulla mutare nell'impianto evocativo di stampo figurativo, accosta Galimberti alla vicenda informale, alla cultura che ebbe in Lombardia assai più di un valido interprete, lo riporta alla cultura degli anni sessanta, quando nascono nell'artista le prime spinte verso la pittura che lo portano ad abbandonare gli studi economici per iscriversi a Brera. Nella tensione narrativa, che ne caratterizza l'opera fino alla metà degli anni novanta, vengono emergendo rinnovate necessità espressive; ai recuperi e ai riferimenti alla storia, attraverso i manufatti richiamati in icona (teste di divinità consunte dal tempo o bassorilievi logori), Galimberti accosta le pieghe, i grumi, le colature, proprie della pittura non iconica degli anni sessanta. La scansione ritmica dell'im-magine appare segnata da quelle frammentazioni e frantumazioni narrative, proprie della stagione pop. Il pittore avverte il bisogno di rinnovare il suo linguaggio, renderlo più aderente alla complessità della vita, avverte il bisogno di dar voce alle sensazioni inesplorate: alla linearità del racconto subentra una complessità contraddittoria, che il nuovo linguaggio, tra materie emozionali e scansioni narrative più allusive, sembra meglio esprimere. L'accostamento e la sovrapposizione di raffigurazioni diverse, desunte da mondi iconografici lontani, trascrivono la rete di relazioni che incidono nella costruzione dell'immagine, e traducono soprattutto la difformità dell'acco-stamento agli eventi quotidiani che l'artista vive. Tale processo di valorizzazione della pittura (e di contaminazione nello sviluppo narrativo) diviene esplicito nella Perseide. Il fondo su cui il pittore definisce le sue immagini appare a più riprese, sotto la pittura, là dove il gesto pittorico si interrompe per lasciare una pausa indefinita; i grumi, le colature, l'espandersi della pennellata che sembra scivolare ed ingrandire, quasi per effetto d'alone, vengono assumendo una rilevanza espressiva nuova: non elemento marginale, lasciato all'occhio dello spettatore, ma aspetto costitutivo dell'immagine stessa, la materia della pittura appare come una presenza che dialoga alla pari con le icone. La materia e la sintassi della pittura vengono mutate (subiscono una accelerazione) attraverso alcune scelte, dall'utilizzazione del "non-finito", alla composizione iconografica che si basa su sovrapposizioni, accostamenti, contaminazioni di significato: le figure evocate in una tela ampia, come Le ninfe Stigie, appaiono costruite attraverso gli spessori di una materia pittorica che fa propri universi espressivi diversi, spesso assai lontani dalla radice originaria del pittore: alla "geometria" dello sgabello si contrappone la dolcezza del viso iperrealista della ninfa di destra; al rigore citazionista della statua ellenistica si contrappone il fondo magmatico di una pittura che nei grumi e nei gesti è ad un tempo libertà e memoria, racconto ed emozione. Tutto lo sfondo, spesso ricostruito senza determinazioni paesaggistiche, appare come la cartina di tornasole della ricerca espressiva di Galimberti che abbiamo tentato di delineare; scelta che sembra voler indicare una nuova accentuazione, sicuramente un bisogno rinnovato della pittura, che si confronta con il suo passato, in un cercato e necessario ritorno, che dell'arte del nostro secolo è carattere peculiare. In questo senso, del resto, pittura e mito sembrano rinviare alla medesima matrice concettuale, poetica e culturale: da qui la riflessione iniziale sulla pagina di Calvino. Il mito di Perseo, con il suo accostamento "laterale" a Medusa, con la sua visione speculare, e dunque distorta, del volto terribile, è metafora dell'arte contemporanea in un'età di contrasti. Cogliere la realtà con quel tanto di accostamento e quel tanto di distanza che consente di leggere le interne contraddizioni dell'animo e della realtà; fors'anche con la consapevolezza che l'arte non può spiegare. Suggerisce a volte; a volte allude. Di certo riesce a rendere leggera quella banalità che sembra awolgerci; la stessa nebbia di contraddizioni che attraversano e rendono accidentato il cammino di Perseo, sembra sciogliersi, grazie alla forza dell'artista, che immerge il lettore in un mondo altro, fa cogliere respiri diversi, suggerisce negli eventi quotidiani potenzialità e sconfinamenti, che lo sguardo distratto sovente non riesce a cogliere. La "parola" che Galimberti raccoglie nel mito di Perseo non è solo quella del bisogno (il mito come intuizione conoscitiva in un contesto storico di assenza di risposte), ma è una riflessione sul senso dell'oggi, una riflessione sul vuoto delle nostre forme, che si riscattano solo se inserite in una vicenda dai molteplici volti: se è pur vero che l'arte non può guardare la verità (o la morte?), non può affrontare direttamente il volto orribile della Medusa, può almeno indicarci i percorsi attraverso cui possiamo intuire la verità, esaltarci almeno per quel tanto di forza e di rinascita che è interno alla natura delle cose.